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“I Cavalieri” portavoce consapevoli del populismo contemporaneo. Ieri applaudissimo debutto al Teatro greco della commedia di Aristofane, resa esilarante da Giampiero Solari

Siracusa- La leggerezza della commedia, con il suo linguaggio semplice, popolare, diretto, volutamente “da bar”, quindi “volgare” al punto giusto da suscitare più di una risata spontanea nella platea, rendendo chiari e accessibili a tutti alcuni concetti senza tempo, altrimenti difficili da sintetizzare, ha inebriato, ieri sera, il teatro greco di Siracusa con la veritas universale di un sempre coinvolgente Aristofane, reso ancor più sobrio dall’originale adattamento.

“I cavalieri”, in coro, con i volti sovrastati da maschere artistiche, “pupi gonfiati” in equilibrio su zeppe altissime, che emergono sotto gli abiti anni 40, che costituiscono il loro originale outfit di scena, nella versione, applaudita ad oltranza e ripetutamente, del sagace regista Giampiero Solari, sono diventati “portavoce” consapevoli della politica contemporanea: de cuius ateniesi che lasciano agli italiani, purtroppo non soltanto sulla scena, una povera eredità di virtù e il debito, difficile da estinguere, di troppi vizi e compromessi.
Ieri, sull’antico palcoscenico della Neapolis, infatti, l’Atene di un lontano ieri è diventata teatro di dinamiche politiche che caratterizzano anche il Belpaese di oggi, votato al declino dei valori, incline al seppellimento della meritocrazia, in balia dei “fumi” del populismo becero.
Così un “arrogante “, “feccia dell’umanità”, rappresentante della “gentaccia”, appena alfabetizzato, diventa da salsicciaio, litigioso e manolesta, il prescelto “Primo ministro”, quello capace di parlare al popolo e riscuoterne l’approvazione, praticamente senza avere contenuti e nemmeno forma, illudendolo per poi, a breve termine, deluderlo.

Il classico “riuscito per caso”, che dall’alto della sua bassezza, per la sua irreparabile deficienza, accompagnato dalla fortuna nell’improvvisazione, riesce a diventare “l’eletto”, usando con chi sta sopra di lui, per guadagnarne i favori, l’adulazione.

Uno  sfrontato ruffianismo, utilizzato come passe partout anche sulle masse,  infondendo in loro la falsa speranza del cambiamento, ma condannandole a non modificare mai il loro stato, tenute “buone” per meglio addomesticarle e mantenerle sotto controllo, nel timore di quella ribellione, che  spesso arriva tardi, quando il danno è difficile da sanare.

Il pittoresco “salsicciaio”, interpretato abilmente da Francesco Pannofino, che entra in contrapposizione con un più edotto, ma non meno “traviato”,  Paflagone, i cui panni sono stati vestiti da Gigio Alberti, tenta di conquistare, prendendolo per la gola e improvvisando una sorta di “prova del cuoco”, Demo, alias un esilarante Antonio Catania, in uniforme da comandante e calzante Mary-Jane in paillettes dorate, da danzatrice di tango, che offre al pubblico anche un assaggio di danza “burlesque”, per poi sfoggiare sotto la divisa una t-shirt auto-celebrativa da campagna elettorale all’americana.

I momenti di “fiesta” e i passaggi di scena vengono scanditi dalla tromba di Roy Pace, contemporaneamente narratore e arbitro dei fatti, che ha speziato il racconto con la sua inflessione sicula accompagnando al finale, scontato e perpetuo, in cui l’ignoranza, nelle disputa tra i due contendenti del potere,  ha la meglio sul peggio.

Il salsicciao, infatti, riesce ad ottenere l’ambito scranno, una motoretta mobile bardata di velluto purpureo, che praticamente gli viene posto sotto il sedere.  Una volta comodo, però,  il rappresentante del popolo  manifesta la sua distruttiva volontà: “Chiudiamo i tribunali, chi è senza barba non potrà parlare al pubblico, mandiamo i nostri figli a zappare, concediamo il condono fiscale e alimentiamo la burocrazia, tanta burocrazia, in modo da governare in maniera incomprensibile”…E la storia continua…ogni giorno …sentendone il peso nelle nostre vite.

Mascia Quadarella

foto in evidenza Franca Centaro

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Giornalista