
Siracusa- Grasse risate e profonda riflessione quelle che la commedia è capace di suscitare, fin dai suoi esordi, nel pubblico. Effetti rodati anche dagli spettatori che, dallo scorso 28 giugno, al Teatro greco di Siracusa, assistono alla messa in scena dell’esilarante, a tratti “irriverente” e squisitamente popolare “Lisistrata”, in “piccante” salsa meridionale, diretta da uno “sfrontato” quanto maestoso Tullio Solenghi, nella doppia veste di regista e attore.
Il suggestivo palcoscenico di pietra sul colle Temenite , calata la sera, si trasformerà fino al 6 luglio in una colorata e colorita “qasba”, in un’ allegra “Città e Pulecenella”, dove il Mediterraneo è di casa, tra le tinte solari dei costumi del coro, il sottofondo di ritmi orientaleggianti, la sfrontatezza verbale “senza censura” dei suoi personaggi.
Qui, gruppi contrapposti di uomini e donne, in un vivaio di dialetti, sfoggiando in particolare quelli dal tacco in giù dello Stivale, danno vita a un “turpiloquio” divertente, che in un sincronizzato girotondo di doppi sensi mette il buonumore, regalando ondate di leggerezza, capaci, comunque, di mortificare, tra una battuta e un’altra, in maniera letale, la forma di “virilità” che per retaggio culturale si tende a sublimare ancora oggi, quella, cioè, che fiorisce, si esibisce e muore “tra le gambe” di chi la ostenta.
Stavolta, però, il sesso diventa, più che un’arma di ricatto, uno strumento di riscatto per le donne, che non devono concederlo ma negarlo per ottenere un privilegio universale: la pace.
A sperimentare, come strategia vincente, l’espediente dell’astinenza indotta è una razionale, pacata, convinta ed accattivante Elisabetta Pozzi nelle vesti di Lisistrata, eroina dalla chioma rossa, che usa il fuoco della passione per spegnere i conflitti tra popoli, coadiuvata da compagne d’avventura, un po’ tonte, svampite, che decidono di rinunciare, alcune invero a malincuore e con qualche resistenza, ai piaceri della carne, negandosi alla fine ai loro mariti, occupando poi l’Acropoli, sequestrando le casse di Stato, quindi sottomettendoli, una volta spogliati del loro potere economico e decisionale.
E mentre il contraddittorio tra mariti e mogli s’infittisce, a stemperare le “tensioni” interviene un maestoso Massimo Lopez, che con un copricapo di penne di struzzo rosa, avvolto in una veste di paillettes, intona “My way”, ricevendo alla fine, del suo applauditissimo cammeo, una telefonata da un certo capriccioso “Aristofane”… tendente a trasformare tutto in “tragedia”.
Ed è così che tra tira e molla, spudorate perle di “saggezza” in vernacolo palermitano, filastrocche in buona parte “vietate ai minori”, gli uomini “misogini” sono costretti ad assecondare le richieste delle loro donne “emancipate”, stringendo protocolli d’intesa con i nemici, per tornare a giacere con loro.
Ma la pace è un bene prezioso, reso effimero, destinato ad esaurirsi presto, come quegli amplessi consumati in fretta senza le basi dell’amore, per le smanie di possesso, dominazione, potere, di esseri senza scrupoli, capaci persino di rendere incerto e labile i