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“Avola 2 dicembre 1968”, il docu-film che ricorda i tristi “Fatti”

Avola- “Perdere il passato significa perdere il futuro”. Questa riflessione ad ampio spettro, attribuita all’architetto e accademico cinese Wang Shu, trasferita sul piano sindacale, contribuisce a sottolineare come il sacrificio di chi ha perso, addirittura, la vita per rivendicare diritti non va dimenticato, bensì valorizzato.

“La memoria storica” deve fungere da nutriente della coscienza civile. Gli insegnamenti dell’esperienza di chi ci ha preceduti, poi, dovrebbero delineare un manifesto permanente, attraverso l’attuazione dei cui punti riscattare, nella vita di tutti i giorni e quindi anche in campo occupazionale, la dignità delle persone, di ogni età, genere ed etnia.

I lavoratori di oggi, sebbene in parte sottopagati o esposti eccessivamente a rischi- ancora succubi, ma consapevoli, delle irregolarità di un mercato che afferma le sue “non leggi” facendo leva sul bisogno – sui grandi temi sindacali si trovano le strade spianate, da chi sul campo minato delle ingiustizie e dello sfruttamento è caduto, ribellandosi.

Eroi silenziosi, e spesso isolati, i cui nomi, nel migliore dei casi, finiscono su lapidi, o tra le righe di articoli di cronaca, destinati comunque ad ingiallire nel dimenticatoio collettivo, senza i riconoscimenti dovuti.

L’insopportabile ingratitudine che accomuna vecchie e nuove generazioni la conoscono bene Giovanni Di Maria e Gioacchino Tiralongo, autori, sceneggiatori e registi di “Avola 2 dicembre 1968”, che rompendo il silenzio assordante su quei tristi fatti hanno voluto innescare un vivace dialogo contemporaneo.

Il loro film documentario, proiettato stasera nel salone Santa Maria Ausiliatrice, in 58 minuti rievoca, grazie alle immagini dell’epoca e ad una regia intuitiva, nel racconto dei testimoni e tra lo stupore di chi si dichiara “colpevole” di ricordare poco e niente della triste pagina di storia, i “Fatti” dell’eccidio consumato 54 anni fa a sud della provincia di Siracusa,  durante le lotte bracciantili per  abolire le “gabbie salariali” .

 Due furono le vittime di quella lotta che portò, dopo una scia di sangue, ai risultati: Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona.

Della loro battaglia, del loro coraggio e del silenzio attorno alla vicenda, anche da parte del territorio, che poco li celebra quei maledetti “Fatti di Avola”, si è parlato almeno oggi, data della ricorrenza, proprio nella città teatro delle rivendicazioni, grazie all’evento- dibattito organizzato dagli ideatori dell’interessante pellicola, che aziona avanti e indietro, con la macchina da presa, la leva del tempo.

“Il dovere di ricordare il passato può dare origine a intuizioni pericolose”. Parafrasando Herbert Marcuse, Gioacchino Tiralongo, spiega i motivi per i quali, assieme al suo socio e coautore, nonché con la collaborazione di giornalisti, ex politici del tempo e gente comune, è riuscito a far affiorare, in maniera artistica, il “Ricordo” di quei momenti terribili, che hanno lasciato il segno in tutto il Paese, introducendo il principio di equità salariale nel comparto agricolo e la voglia di opporsi con forza al caporalato.

“Noi-scrive Tiralongo- oggi abbiamo il dovere della memoria. Sapere cosa siamo stati, cosa abbiamo fatto, per comprendere appieno dove vogliamo andare.  Sapere cosa accadde davvero, cosa rappresenta quella lapide che è un pezzo di storia di tutta l’Italia. Non solo della nostra città”.

Non manca la nota polemica costruttiva. “Una lapide-continua-. Che viene ripulita dalle erbacce una volta l’anno, una lapide che forse oggi, più di ieri, si vorrebbe dimenticare. Al di là delle rivendicazioni salariali- evidenzia Tiralongo- i nostri braccianti avevano portato in piazza due elementi disturbanti, “eversivi”: nel loro manifestare, con veemenza, avevano trovato solidarietà da parte di studenti e altri operai, uniti nella lotta”.

Mascia Quadarella

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Giornalista