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“Nostra figlia è morta in una Rianimazione, dopo aver lottato contro il cancro”. Restiamo a casa. La vita è preziosa

Siracusa- Era il rumore di quel respiratore a scandire i minuti, i giorni e i mesi che venivano concessi, da un destino ostile, alla nostra piccola guerriera. Era quell’insopportabile e insolito metronomo a farci aggrappare alla speranza di vedere spuntare da quei locali asettici, la cui sala d’aspetto era diventata la nostra casa, un angelo in camice bianco che ci dicesse è salva, fuori pericolo, ce la farà. Invece no. La nostra Irene, purtroppo, non ce l’ha fatta, le nostre vite sono state annientate di colpo dal dolore della sua perdita, per questo non vogliamo che qualcun altro viva la nostra stessa tragedia, uno strappo che non potrà mai essere ricucito. Restate a casa, la vita è preziosa. E’ questa la sintesi dell’appello che lancia la famiglia di Irene Tilotta, giovane donna siracusana morta a poco più di vent’anni per un tumore ai polmoni, contro il quale ha lottato fino all’ultimo respiro.

“Era il 2 aprile 2016, ospedale di Perugia ore 22:00 – inizia la lettera di Donatella Saraceno, che parla a nome di tutta la famiglia- mia figlia Irene entra in Rianimazione. Un emogas pessimo, una saturazione bassissima, le sue mani al collo, le sue parole ” mamma aiutami soffoco” nonostante avesse la mascherina con l’ossigeno. Io le dicevo ” Irene stai tranquilla, qui ti aiuteranno a respirare “. Ecco! Questa è l’ultima immagine, le sue ultime parole prima di entrare in rianimazione. Oltrepassó quella porta….Non so quantificare dopo quanto tempo i medici ci fecero entrare.Non ero mai entrata in una sala rianimazione, non sapevo cosa mi aspettasse e vi assicuro che non è un bel vedere.I nostri occhi mai avrebbero immaginato di vedere Irene intubata, attaccata a un respiratore, sondini dappertutto. Mai! Proprio mai! Mi consegnarono i suoi effetti personali dentro ad un sacchetto trasparente. Quello che pensai lo dissi ad alta voce: pensavo di essere giá scesa all’inferno, invece mi sbagliavo: è questo l’inferno. Le parole della dottoressa di turno ci annientarono: ” Irene non supeerà la notte”. Irene su quel letto della rianimazione ci resistette 37 giorni e noi insieme a lei. Era forte Irene. La sua voglia di vivere era forte tanto quanto la sua voglia di tornare a casa,  di ritornare alla sua vita. 37 giorni di crisi respiratorie, di versamenti emorragici, di crisi epilettiche. 37 maledettissimi giorni accompagnati dagli allarmi dei macchinari e dal rumore del respiratore. Respiratore che nonostante siano passati quasi 4 anni, sento ancora. 37 giorni di attesa fuori da una porta in attesa di entrare per poterla vedere, per poterle stare accanto, parlare, confortarla, coccolarla, amarla.Ecco! Questa è una sala rianimazione. In questo momento tragico, che tutti stiamo vivendo e subendo, fermiamoci a pensare seriamente a chi è stato contagiato dal Coronavirus, che entra in sala rianimazione da solo, senza nessun conforto da parte di un familiare. I soli volti che vedono i pazienti in rianimazione attorno a loro sono quelli di medici e infermieri. Se ne vanno via per sempre, lontano da noi, nella solitudine più totale.RESTIAMO A CASA!Adottiamo le giuste precauzioni. Proteggiamo noi stessi affinché possiamo proteggere gli altri.Diamo il giusto valore alla vita: a quella nostra a quella degli altri e consentitemi…. diamo il giusto valore alla vita di chi la vita se l’è vista strappare. Non lamentiamoci perché non possiamo uscire da casa.Pensiamo a chi a causa di una malattia ha dovuto stravolgere la propria vita e quella dei familiari. Quei 37 giorni resteranno sempre impressi nei miei occhi, nella mia mente, nelle mie orecchie e nel mio cuore. Mi porterò dentro la sua ultima lacrima per il suo adorato fratello,  il suo odore e le sue mani che non ho mai smesso di stringere. Quelle mani che nonostante tutto, continuo a stringere.Il 4 di aprile Irene avrebbe compiuto 26 anni ma ne avrá 22 per sempre. Il mio piccolo uragano di vita chiedeva solo di vivere.RESTIAMO A CASA! LA VITA È UN DONO PREZIOSO!”.

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Giornalista