Siracusa- Il Covid-19, a livello globale, ha sconvolto il “tempo” e la sua percezione, interrotto prematuramente milioni di vite, sottoposto a dura prova il corpo e la mente di adulti e bambini, negando a questi ultimi il “gusto” soave dell’infanzia e agli adolescenti quella leggerezza dell’essere, appartenuti ai genitori.
Contrassegni di giovinezza che ai rappresentanti della net-generation, dai volti “schermati” da mascherine e dalle personalità acerbe, deboli, nascoste dietro personaggi di convenienza, sembrano appannaggio di un passato povero di materialismo ma “generoso” di semplici ed intense emozioni.
Emozioni positive e negative che prima della “rivoluzione digitale” venivano condivise faccia a faccia, pelle a pelle, ogni giorno, con i coetanei, contribuendo a far emergere e a temprare i caratteri, a tracciare un percorso di crescita, individuale e civica, ma che oggi, purtroppo, vengono represse e sostituite da asettiche emoticons, che colorano e “movimentano” con una blanda “interazione” chat, dai contenuti stereotipati, spesso blasfemi e demenziali, che fanno da cassa di risonanza al vuoto delle loro “anime in pena”.
I giovani come gli anziani, infatti, sono stati i “dannati” di questa pandemia, condannati a vivere nei “gironi infernali” della solitudine, della paura dell’altro, delle restrizioni, dell’incertezza. Alcuni di loro si sono ritrovati, da un giorno all’altro maggiorenni, non hanno potuto festeggiare il traguardo in balia di quella “goliardia” assaporata da noi “Anta” e sono rimasti per mesi, troppi, rinchiusi tra le quattro mura domestiche, abitate da consanguinei, a volte rivelatisi perfetti sconosciuti, in balia dei silenzi assordanti, della depressione, che ha devastato le loro giornate, rendendo “impercettibile” il presente e buio il futuro.
Di questi giovani, che hanno perso la speranza, che si rapportano con il resto del mondo da uno spioncino virtuale, dalle bacheche di un social, che spesso trasudano banalità, ma che in verità nascondono insicurezze e sofferenze abbiamo voluto parlare con Giuseppe Lissandrello, esperto di Mindfullness, osservatore attento delle dinamiche sociali, nonché scrittore schietto e diretto, come l’analisi della situazione attuale emersa dalla nostra intervista, in cui l’esperto “scagiona” la pandemia in corso dall’accusa di responsabile principale della crisi della salute mentale dei giovani, riportando al banco degli “imputati” la famiglia, oggi in fallimento come agenzia educativa primaria.
C’é un’epidemia sommersa, confermata da studi internazionali, quella che colpisce l’anima di tanti giovani, in balia di ansia e depressione, che vedono il loro presente annientato e il futuro vacillare, perché se ne parla così poco?
In realtà, premetto che le problematiche giovanili erano trascurate anche prima della pandemia. La pandemia ha, dunque, scoperchiato il vaso di Pandora. Stiamo vivendo un tempo buio, dove la famiglia, come ente formativo in crisi, ha delegato fuori da sé il futuro dei propri figli. Un egoismo ed individualismo di ritorno ha fatto sì che la diade genitoriale, il più delle volte separata, non fa nessun “sacrificio” per il bene dei figli, ma neanche lascia liberi i ragazzi di fare le proprie scelte, come succede in altre realtà europee e mondiali. Molti genitori tengono i figli come animaletti in gabbia. I ragazzini del cosiddetto terzo mondo per crearsi un futuro sfidano la morte in mare, i nostri non li mandiamo neanche al supermercato… Non li crediamo capaci, però, poi la cronaca ci presenta sempre più frequentemente le baby-gang. Quindi, prima di cercare capri espiatori nel governo e nella società bisogna ripartire dalla famiglia. Sia essa moderna, allargata, omosex, tradizionale non importa, l’importante che dia spazio di crescita ai figli.
Cosa prova un giovane dalla psiche instabile in una condizione di privazione della propria libertà? Un giovane dalla psiche instabile è troppo generico… prima della pandemia denunciavamo 100.000 ragazzi “fantasma”, che non uscivano di casa per mesi e vivevano sulle consolle o sulle chat, quindi avevamo il problema opposto. La restrizione della libertà in generale è il cruccio più grande dell’uomo (altrimenti non avrebbero inventato il carcere) provoca in lui anche in quelli sani sentimenti negativi verso se stessi e gli altri. Più che la privazione della libertà in sé, in alcune categorie di ragazzi quello che fa entrare in crisi è il rispetto delle regole dove oramai in una società lassista, qualunquista e distratta non esistono più. Abbiamo abolito la leva militare, e tutto quello che costa fatica. Un problema serio che è più frequente nei miei giovani pazienti è il rapporto con le emozioni. Gli adolescenti di oggi tendono a reprimerle. Sentono le emozioni come sinonimo di debolezza. Chi le mette fuori viene aggredito dal branco e bullizzato. Credono che provare emozioni renda più fragili. Gli adulti, soprattutto chi ha vissuto separazioni e guerre per affidamento e mantenimento, hanno dato un esempio negativo. L’adolescente allora diventa cinico e ribelle e soprattutto ho notato che vi è una separazione di matrice cartesiana fra la mente ed il corpo. I giovani lo curano, lo abbelliscono, scimmiottando le influencer o gli adulti di riferimento, ma non lo sentono, non entrano in contatto con il proprio corpo. Per questo hanno difficoltà a provare emozioni ed empatia. Così si spiegano le violenze di gruppo o le appartenenze a gruppi estremisti.
Sta funzionando l’istituzione dello psicologo scolastico. Basta il servizio rispetto alla domanda? A dire il vero, oserei dire, non esiste o meglio esiste parzialmente. Esistono, però, i colleghi che spendono fior di quattrini per specializzarsi in psicologia scolastica, in pediatria psicologica, psicologia dello sport, psico-oncologia ecc. e rimangono ancorati a piccoli progetti a tempo determinato elemosinando attraverso conoscenze personali piccoli incarichi in una guerra tra poveri. In questo momento la figura dello psicologo/psicoterapeuta è fondamentale per dare aiuto e conforto in modo competente alle famiglie e alla scuola ma al solito tutti lo invocano ma poi nessuno stanzia i soldi. Ancora pretendono il volontariato. Però quando noi ci formiamo da noi vogliono migliaia di euro nessuno ci regala nulla.
Perché si tarda ad istituire un pronto soccorso psicologico? Lo psicologo non lavora in pronto soccorso. Vero è che esiste lo psicologo dell’emergenza, ma quello interviene in casi di sciagure e calamità. Di base, lo psicologo dovrebbe lavorare in ambito di prevenzione: primaria e secondaria. Comunque, può capitare di dover sedare un attacco di panico e noi sappiamo come fare o sicuramente riusciamo a comunicare in modo assertivo evitando conflitti,ad esempio agli sportelli che hanno a che fare con il pubblico. Ma non deve passare l’idea che lo psicologo serva come pronto soccorso, potrebbe lavorare in pronto soccorso, tuttavia, accanto ai medici ed agli infermieri ma questo è un altro discorso. Certo i giovani colleghi pur di lavorare per la passione che ci mettono lavorerebbero anche ai semafori, ma la figura dello psicologo è una figura nobile perché tratta le emozioni di ognuno, si confronta con le parti più intime dell’essere umano. Siamo stati per troppo tempo sviliti e sarebbe arrivato il momento di smetterla, di dire che lo psicologo lavora con i pazzi ed anche se fosse, ormai lo siamo tutti, soprattutto chi consuma in modo assiduo le droghe. La responsabilità è anche la nostra. Gli Ordini Professionali che non riescono ad incidere più di tanto nella salvaguardia della professionalità. Se fosse per me lo abolirei, per come agisce con le istituzioni di competenza. Per voler rimanere ottimisti diciamo che piccoli passi avanti da quando ho iniziato questa professione più di vent’anni fa sono stati fatti.
Quali i segnali che devono preoccuparci? Come contrastare gli effetti del Covid sulla psiche adolescenziale?
Per contrastare gli effetti deleteri del Covid, in primo luogo, dovremmo cambiare la classe politica e la comunicazione di massa che sembrano alimentare la tensione e generare una sorta di terrorismo psicologico. Nel nostro piccolo, invece, bisogna usare il dialogo e l’ascolto con i figli. Fare i genitori e non i figli dei figli. Mantenere una fiducia nella vita. I nostri predecessori hanno avuto epoche molto più difficili della nostra e ce l’hanno fatta. _Ce la faremo pure noi, tornando alla consapevolezza di quello che veramente ci fa stare bene. Purtroppo, stiamo creando una società di giovani materialistica e iper-razionale. Però tutti gli adulti ci lamentiamo che i nostri tempi erano più belli perché più semplici, perché ci si divertiva con poco. Iniziamo dalla semplicità. Meno giocattoli vuol dire meno inquinamento, più creatività e più risparmio. La parola magica è credere. Cominciamo da noi stessi.
Servizio di Mascia Quadarella
Photo: Canva