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Violenza sulle donne, parla Walter figlio di Raffaella Mauceri

Siracusa- Avrebbe sorriso Raffaella Mauceri, mente fine, penna aguzza, precursora della cultura di genere, sostenitrice delle cause femminili, antesignana vivente dei centri anti-violenza, che riuscì a inaugurare e condurre anche a Siracusa, nel vedere la mobilitazione di cui la sua città è stata capace, in occasione del 25 novembre scorso, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Lei che ha dovuto sfidare pregiudizi, diffidenze, il tempo.

In quel corteo “in rosso e arancione”, tra i diversi uomini che sfilavano per rivendicare il diritto alla vita delle donne, non c’erano solo le amiche, colleghe e volontarie con cui operava ma anche suo figlio, Walter, il suo amato Walter, che ha fatto tesoro prezioso dei suoi insegnamenti ed oggi si trova a ripeterli, perché più che mai attuali.

Ed è proprio Walter che ci ha affidato una riflessione da divulgare, interpretando il pensiero della compianta madre di cui si è improvvisato portavoce.

” I recenti discorsi su tutti i canali di comunicazione- scrive Walter- già li sentivo da mia madre nel 1980. Oggi, abbiamo un compito e dovere importante nei confronti delle giovani e dei giovani: educare le ragazze a non essere prede ed i ragazzi a non essere predatori.

Disobbedite al patriarcato e questo vi salverà”, avrebbe detto mia madre. Proprio in questi giorni, ho riletto alcuni suoi manoscritti, tra cui uno inedito, intitolato, per l’appunto, “Posso disobbedire e questo mi salverà”.

Mia madre, che è stata la prima a Siracusa a parlare del proto-femminicidio di Santa Lucia, avrebbe visto con favore i vari eventi in città, ma essendo una femminista storica ed esperta di women’s studies, sicuramente avrebbe “tirato le orecchie” a tutte e a tutti coloro, che parlano di violenza maschile sulle donne, confondendo ancora il fenomeno, che è ben preciso e delineato, con quello della violenza in generale e della famiglia, creando equivoci pericolosi. La violenza maschile sulle donne, infatti, non è solo quella degli occhi neri e dei lividi, di cui il femminicidio costituisce la punta dell’iceberg, ma è anche molto altro e soprattutto è un fatto culturale e troppo spesso si cela sotto vesti meno manifeste, quali quelle delle mura domestiche. Mia madre sicuramente sarebbe stata orgogliosa del Centro Antiviolenza Ipazia, che nutre un sostenuto numero di sue discepole, da lei personalmente formate, a cui ha lasciato la sua eredità ideologica, sia per presenza importante sul territorio per quanto concerne le attività di accoglienza, protezione, sostegno legale e psicologico delle donne vittime di violenza, sia per l’attività senza sosta nell’educazione e sensibilizzazione, fatta con la competenza e il sacrificio di chi ha sposato una causa così socialmente impattante”.

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Giornalista