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Separazioni “conflittuali” : figli in trappola. Mediazione familiare aiuto qualificato

Siracusa- Separazioni “conflittuali” figli in trappola.  Non è il titolo di un film, ma il dramma che vivono diversi minori quando i loro genitori decidono di dire basta a quella che un tempo fu la loro storia d’amore e che si dichiarano “guerra”. Spesso, purtroppo, sul campo di battaglia, come scudo ma anche spada, vengono messi avanti proprio i bambini, che subiscono gli effetti devastanti di litigi, ripicche, ricatti e ritorsioni. 

Quando una famiglia si sgretola il senso di fallimento pervade tutti i membri, le reazioni sono diverse, ma quando l’accordo diventa impossibile da raggiungere, per la salvezza dei ragazzi, è bene ricorrere ad una figura neutra, capace di ripristinare l’equilibrio tra le parti o ricrearne uno nuovo, contribuendo a mettere ordine a quella che sarà la nuova organizzazione familiare.  

Da questa esigenza nasce la mediazione familiare, un istituto, un servizio offerto da professionisti specializzati nell’accompagnamento delle famiglie lungo il percorso di una ritrovata serenità. Alcune volte suggerito anche dai giudizi, perché rientra tra i servizi sociali. 

“ La mediazione familiare- spiega Loris Vasile, pedagogista, esperto del servizio- rappresenta una modalità di risoluzione delle controversie, utilizzata nel contesto familiare quando sono in atto procedimenti di separazione difficili da gestire autonomamente”.

” E’ stato notato- informa il pedagogista- che ad alimentare lo stato di conflittualità intervenga, spesso, anche l’iter giudiziario che segue la fine di un’unione:  la presenza di un giudice, inteso e vissuto come un soggetto autoritario, le posizioni assunte durante i processi dagli avvocati difensori delle parti contrapposte, che tendono facendo gli interessi dei loro assistiti “ad addossare tutta la responsabilità del fallimento matrimoniale sull’altro coniuge. Tutto ciò contribuisce- sottolinea l’esperto- ad aggravare la situazione di crisi. E’ in suddette situazioni che si può inserire la mediazione come procedura risolutiva, che da un lato rappresenta uno strumento alternativo ed efficace al superamento dei dissidi tra i coniugi, e dall’altro raggiunge la composizione transattiva delle rispettive posizioni”.  “Quando pronunciamo la parola “conflitto” pensiamo subito allo scontro, al contendere, all’aggressività, alla violenza, in unica parola alla guerra. Si arriva al conflitto per le difficoltà a comprendere le ragioni dell’altro, da questo scaturiscono visioni diverse che ormai troppo spesso porta alla separazione. L’aumento dei divorzi ha indotto ad attenzionare gli effetti della conflittualità genitoriale sui figli, con lo scopo di dare maggiore sostegno alla famiglia separata. In realtà, ci si è resi conto che non è tanto la separazione dei genitori a produrre effetti rilevanti ma appunto la conflittualità. Spesso si assiste all’incapacità della coppia a ricorrere alla separazione con l’effetto di dipanare i conflitti in corso, frequenti, intensi a cui i figli sono esposti, con ricadute dannose sul loro sviluppo. La famiglia unita conflittuale alla fine risulta più dannosa di una famiglia separata non conflittuale”. 

 Lo stato emotivo degli adulti in fase di separazione

“I grandi si comportano male perché soffrono- spiega Vasile- perché la rottura della propria famiglia, quella subita ma spesso anche quella voluta, è un momento di crisi radicale. La diffidenza e il risentimento diffuso e subdolo, che le donne e gli uomini che si separano incontrano subito fuori dalle mura domestiche, non li aiuta a restare buoni genitori. Il pregiudizio negativo che grava sui genitori che si separano si salda con la profonda insicurezza, con il senso di colpa e di fallimento, con la destabilizzazione dell’immagine di sé che la separazione comporta per ognuno”. 

Ma cosa succede al bambino quando vive il conflitto tra i genitori? 

“In una prima fase- spiega Vasile- che potremmo definire “elaborazione primaria”, Il bambino cerca di ricavare informazioni sul grado di negatività, di minaccia e di rilevanza della situazione, relativamente a sé, per verificare se essa è pericolosa o no.  Nella seconda fase o “elaborazione secondaria” l’obiettivo del bambino è quello di ricavare maggiori informazioni per comprendere gli eventi e far fronte alla situazione. L’attenzione è molto focalizzata e, anche se apparentemente distratto, egli inizia a osservare e controllare i genitori percependo i loro messaggi verbali e non verbali per capire le motivazioni che portano al prodursi del conflitto o al suo permanere. Per rispondere alla domanda “perché è successo?”, il bambino opera una attribuzione causale (la ragione sottesa al conflitto) e un’attribuzione di responsabilità (chi ne è il principale responsabile). L’attribuzione causale- continua il vicepresidente Anpe in Sicilia- ha la funzione di superare la condizione di impotenza e di operare previsioni per l’evoluzione del conflitto. In genere il bambino tenta di stabilire se l’evento è dovuto a sé, ad altri o a circostanze esterne. In questa fase evolutiva è dunque più probabile che attribuiscano a sé la causa del conflitto tra i genitori, i quali, peraltro, potrebbero fornire involontariamente informazioni concordi con questa erronea attribuzione causale. 

Le colpe di chi sono secondo il bambino? 

Per quanto riguarda l’attribuzione di responsabilità, molto presto i bambini riescono ad esprimere empatia ed in base ad essa possono stabilire chi è la vittima e chi il “carnefice”.  

Se uno dei genitori manifesta atteggiamenti depressivi a seguito degli scambi conflittuali e l’altro invece un atteggiamento più assertivo e di attacco, sarà probabile che il bambino, non valutando i contenuti del conflitto, stabilisca che la vittima è il genitore che vede soffrire in modo più manifesto. 

Va considerato a questo punto il ruolo della qualità della relazione tra il bambino e ciascun genitore e il diverso modo prescelto da questi ultimi per fornire informazioni al figlio. Egli è alla ricerca di informazioni e sarà particolarmente recettivo ai messaggi diretti che un genitore può decidere di emettere. Ciò non vuol dire che il bambino anche piccolo prenderà per buono tutto ciò che gli viene detto. 

Infatti, è in grado di percepire anche altro tipo di informazioni e valuterà le informazioni in base al tipo di rapporto affettivo tra sé e ciascun genitore. In sostanza se un genitore volesse “screditare” con il figlio l’altro genitore dovrebbe contare anche sul fatto che la loro relazione non sia abitualmente positiva. 

Essere profondamente indignati verso l’altro e dare libero sfogo a tale indignazione, mostrarsi contrariati e/o spaventati quando il bambino sta con l’ex partner, mettere in atto vendette, interrogatori, imposizioni, inquisizioni sulle visite, tali comportamenti sono percepiti, come pericolosi, dall’altro genitore. 

Come agire per evitare inutili sofferenze

L’esposizione dei figli a situazioni di conflittualità dei genitori determina un’esperienza traumatica che va affrontata ascoltando il bambino e sostenendo i genitori stessi. Bisogna ricostruire un contesto in cui la ri-narrazione delle situazioni di esposizione al conflitto venga elaborata, e venga dato un nuovo significato agli eventi. I genitori devono essere accompagnati a trovare forme di riparazione agli errori e a condividere i significati dell’altro nell’ottica di un’intersoggettività che può prevedere il conflitto ma non la sopraffazione. In questo la Mediazione familiare può essere “il luogo dei genitori ritrovati”. 

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